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[Rece(?)] Zambo' (PN)
(troppo vecchio per rispondere)
Gianfranco
2015-07-16 11:50:55 UTC
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Ciao,

a fine giornata, stanchi per il lavoro ma non volendo fermarci ai
soliti localini di Forte dei Marmi, io e la mia compagna decidiamo di
allungare con la bici verso Zambo', ristorante storico di ottimo livello
(non stellato, ahime'), situato nel paesino di Castelcotrione a non so
quanti metri di altezza slm, poco lontano da Sacile (PN).

Dall'esterno non sono accoglienti ne' il locale (facciata anonima
e sbertucciata di un condominio anni '80) ne' l'ambiente circostante
(una piazza di cemento crepato, con le erbacce che spuntano ovunque a
ricordare certi film dell'era post-atomica); nella penombra lunare,
l'unico lampione della piazza e' spento, si intravedono lontani figuri
dal passo aggobbito e incerto, sono i vecchi del posto che dopo il
gottino al bar se ne tornano ubbriachi a casa a picchiar la moglie.
Sopra l'entrata una grande scritta "Da Zambo'", neon cilestrino che
ronza fastidiosamente mostrando, lampeggiante, la sola lettera "Z".

Suoniamo al campanello, piu' volte, e attendiamo a lungo che ci
aprano: "il campanello e' rotto e ci rubano il cartello "si prega di
bussare forte" - si giustifica quando, dopo circa mezz'ora, il maitre
ci fa entrare - meno male che abbiamo visto le vostre ombre attraverso
il vetro"; dopo i convenevoli di prammatica veniamo fatti accomodare a
un tavolo tondo in una sala da circa 40 coperti, con simpatici attrezzi
agricoli inchiodati alle pareti, un paio di contadinotti avvinazzati
che sorridono tristi dai quadri e qualche fiasco (vuoto) sulle mensole
leggermente polverose (ma e' per l'atmosfera): siamo e resteremo noi
due, cosa assai strana perche', come ci conferma il personale di sala,
di solito non c'e' nessuno.

L'apparecchiatura e' classica senza grandi concessioni all'estro:
coprimacchia di cotone grosso a quadrotti bianchi e gialli; piatti
e posateria decenti (a parte i coltelli che mostrano trascurabili
tracce di ruggine); bicchieri decisamente vistosi, rossi, ottagonali
e spigolosi, con la marca ("riddell") in corsivo che sembra scritta
con l'uniposca. E' presente infine un ingombrante centrotavola di
fiori secchi e candela alla citronella che viene prontamente accesa.
Dopo qualche minuto giunge il cestello del pane, piccole pagnotte
aromatizzate alla salvia, piuttosto dure, che vanno inzuppate in una
ciotola di latte tiepido (fornito prontamente) per ammorbidirle. Arriva
anche una coppetta di aperitivo, caratteristica del locale, contenente
un brodino di pollo ristretto, freddo, perfettamente amalgamato nelle
componenti liquide e grassose dal sapiente uso del frullatore a
immersione. Lo accompagna un appetizer molto simpatico: un bicchierino
realizzato in caramello e cioccolato al latte contenente una mousse di
buccia di limone, granulata croccante di intestino di vacca e foglie di
spinacio, in cui l'acidita' del limone, la morbidezza dello spinacio e
il dolce del cacao che si scioglie offrono un ottimo abbinamento alla
granulata.

Tra le opzioni offerte dalla cucina (il menu' e' vario e importante)
scegliamo la degustazione chiamata "Pantagruele", contenente i cavalli
di battaglia del ristorante. Effettuato l'ordine, giunge il sommellier
con tastevin al collo che ci snocciola, a voce, la carta dei vini che
e' ampia e dettagliata e comprende una bella selezione di italiani e
francesi, piu' qualche chicca del resto del mondo, con ricarichi che
troviamo nella norma. Dopo qualche minuto di recitazione interrompiamo
l'elenco e chiediamo all'arrochito sommelier di portarci quello che
vuole lui, entusiasticamente obbediti. Non ci pentiremo: arriva infatti
un Vermentino Metodo Martinotti del 1960, 11 gradi, leggermente
frizzante, che ci vien descritto come "un prosecco un po' sgasato, ma
diverso": alla degustazione appare di colore ambrato assai carico, un
po' povero di profumi a parte una evidente acidita' volatile che si
rivelera' forte anche in bocca dove compariranno, assai tardivamente,
note di legno di mandorlo, sale grosso e mascarpone.

Delle varie portate riporto a memoria:

- un secondo vasetto di mousse di limone e granulata di vacca che,
come ci dice il gentile cameriere, "e' avanzata, e' un peccato buttarla
via";

- un piatto che ci viene presentato come "ecco il famoso indiano":
flan di carota e sedano aromatizzato alla curcuma con scaglie di cacio
podolico e pemmican, da mangiarsi sgranocchiando due stecche di cannella
che accompagnano il piatto. Buon equilibrio tra la carota e il sedano,
il resto e' decisamente poco percettibile per via dell'aroma, piuttosto
invadente, della cannella;

- arriva poi un bicchierino realizzato in caramello e cacao al latte,
identico a quello dell'appetizer, stavolta ripieno di una cremina dolce
con amaretti, basilico, triglia, manzo, pesche sciroppate, listelli di
trombette dei morti e crudo di cappesante. Buono e complesso, lungo
nella permanenza gusto-olfattiva, importante nell'evoluzione, pero' il
gorgonzola si sente troppo;

- una nuova portata che in verita' apprezziamo poco per colpa della
nostra scarsa preparazione: si tratta di una morsa da fabbro, cromata,
che stringe una noce che il commensale dovra' "matare" usando la
perfetta riproduzione di uno stocco del seicento, infilando destramente
la lama nella giunzione tra i due gusci, indossando un berrettuccio da
torero nell'allegria dei commensali. All'interno della noce ci dicono
vivere una vongola glassata all'aglio ma, non riuscendo ad aprirla
neanche al quarto tentativo, rimandiamo indietro il piatto prima di
farci del male;

- una "sferificazione" che non e' quel che ci aspettiamo: in una
ciotola di porcellana contenente una delicatissima e profumatissima
crema di porro in agrodolce (un po' troppo evidente il glutammato),
galleggiano due occhi di vitello ripieni di crema di burro, pepe, salvia
e maggiorana, sapientemente riempiti in modo che, per l'equilibrio dei
pesi, sembrino guardare il commensale. Superato l'imbarazzo iniziale,
masticando con energia le sfere durastre, si percepisce nettamente il
perfetto equilibrio dei sapori e la lunga persistenza amarognola della
cornea. Decisamente il miglior piatto della serata;

- giunge poi un "fistiotto" (cosi' lo chiama il cameriere,
evidentemente straniero) di pasta di grano duro a malapena scottato,
ripieno di una salsa di cacao al barolo chinato, gamberi e pinolo,
condito con un sugo nel quale distinguiamo fragola e totano, piu'
qualche altro ingrediente che non riusciamo a identificare. Il piatto e'
buono e croccante, non c'e' che dire, pero' l'abbinamento del fistiotto
col pinolo ci lascia un po' perplessi;

A questo punto la cucina ci lascia un attimo di pausa (l'impressione,
dagli occasionali berci che percepiamo, e' che di la' stiano litigando
per non so che motivo); nell'attesa, un imbarazzato commis ci porta
un nuovo bicchierino di brodo come quello dell'aperitivo, stavolta
stemperato, da mangiare col cucchiaio, che ci aiuta nella digestione e
ci rilassa un attimino. Dopo una quarantina di minuti, il solito commis
ci porta le ultime specialita':

- due bei dadoni di carne cruda di maiale e uno, di forma e colore
simile, di gelatina di soia, accompagnati da una semplice bustina di
vinaigrette che, come ci dice il cameriere, va solo guardata. Piatto
molto delicato che ci fa soffrire la mancanza di un pane morbido da
inzuppare per finta nella salsa e che richiede una lunga masticazione,
cosa sicuramente voluta dallo chef per meglio apprezzare gli aromi del
grasso del maiale crudo;

- terminiamo con l'immancabile finger-food: un terzo bicchierino con
vacca croccante accoppiata stavolta al solito brodo dell'aperitivo,
pero' congelato, da mangiarsi a morsi. Decisamente simpatica come idea,
forse un po' ripetitiva dal punto di vista dei gusti.

Non ordiniamo il dolce e rifiutiamo gentilmente la piccola pasticceria
perche' la mia compagna ha qualche problema di stomaco e preferisce
tornare a casa; lo chef, un omone ridanciano e impataccato, esce dalla
cucina per stritolarci la mano e raccomandarci che gli scriviamo una
bella recensione "su trippe". Al banco ci offrono un caffe' d'orzo
("bello polveroso, come s'usa qui da noi") e un bicchiere (un vero
bicchiere, pieno quasi fino all'orlo) di grappa "della casa", distillata
dal titolare dell'azienda in speciali bricchi di ferro zincato. La
finisco a fatica per non essere scortese ma per mio gusto appaiono un
po' troppo evidenti le teste (il giorno dopo avro' problemi di vista) e
il gusto e' fortemente metallico.

Serata decisamente piacevole a costo piu' che contenuto: menu'
degustazione "Pantagruele" per due, piu' Vermentino Martinotti (in carta
a 196 euro) per un totale di 477 euro, scontati spontaneamente a 480
perche' non avevano la moneta di resto.

Telefono, giorno di chiusura e indirizzo non riesco a trovarli ma sono
reperibili in rete; rintracciare il locale e' facile: da Sacile si sale
per Castelcotrione e si arriva nella piazza principale del paese, giusto
a due passi dal porto. Da li si vede l'insegna. :)

Un saluto,
--
Gianfranco Bertozzi
gretel
2015-07-17 17:23:37 UTC
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Post by Gianfranco
a fine giornata, stanchi per il lavoro ma non volendo fermarci ai
soliti localini di Forte dei Marmi, io e la mia compagna decidiamo di
allungare con la bici verso Zambo', ristorante storico di ottimo livello
(non stellato, ahime'), situato nel paesino di Castelcotrione a non so
quanti metri di altezza slm, poco lontano da Sacile (PN).
mi sa che devo ripasare la geografia, dev'essere cambiato qualcosa... :D
Gianfranco
2015-07-18 11:40:44 UTC
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On Fri, 17 Jul 2015 10:23:37 -0700 (PDT), gretel wrote:

Ciao,
Post by gretel
mi sa che devo ripasare la geografia, dev'essere cambiato qualcosa... :D
Seee... siamo noi che abbiamo le gambe forti! ;-)

Un saluto,
--
Gianfranco Bertozzi
gretel
2015-07-18 15:25:19 UTC
Permalink
Post by Gianfranco
Post by gretel
mi sa che devo ripasare la geografia, dev'essere cambiato qualcosa... :D
Seee... siamo noi che abbiamo le gambe forti! ;-)
complimentoni, allora!

se mi insegnate il segreto, magari stasera evito le affollatissime pizzerie sotto casa e vado a mangiarmi un piatto di pizzoccheri a livigno :P

(ma sai che scrivi benissimo?)

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